Lost 6, possibile spiegazione del finale

Jack Lost 6

Finito Lost, come del resto era atteso, sono iniziate le domande; smitizziamo immediatamente l’atteggiamento di tutti coloro che si sentono in qualche modo defraudati: non c’era lo spazio fisico per rispondere a tutto, anche se il concetto di “rispondere a tutto” potrebbe in alcuni essere ambiguo, in altri addirittura elusivo e fuorviante.

Il concetto è che in realtà Lost una risposta ce la dà, ed è la risposta alla più grande delle domande: si tratta di una soluzione alla continuità di una vicenda il cui termine, inteso come fine dello storyline, appariva e scompariva nel corso delle sei stagioni che abbiamo faticosamente attraversato.

Sull’onda di riferimenti letterari, filosofici e religiosi, Lost presenta una struttura paradossalmente tradizionale – inizio, svolgimento e fine – i cui estremi sono delicatamente sanciti rispettivamente dall’apertura e dalla chiusura dell’occhio di Jack.

L’Isola è un luogo fisico, nel senso più lato possibile del termine, laddove l’inspiegato (da parte dell’uomo, s’intenda) diventa nominalmente “metafisico”; è un tappo – espressione usata più volte – che impedisce che l’energia di origine e entità misteriose che vi risiede si sparga e distrugga tutto in virtù della sua potenza e della sua stessa natura. Una sorta di flusso primordiale in grado di realizzare fenomeni quantistici nel macroscopico, che si manifestano principalmente in fenomeni di “non linearità” dello spazio-tempo.

Da queste premesse viene dato il via alla giostra della lotta tra i due colori estremi: la Luce, la fonte della Vita, e la Forza distruttrice che viene tenuta costantemente a bada: più che Bene vs. Male, si tratta di una complessa situazione di equilibrio alla difesa della quale sta qualcuno che evidentemente deve essere immortale – si tratta di motivi logistici – al quale tocca poi la scelta di un sostituto, scelto tra un insieme di candidati: e qui entrano in gioco i nostri, scelti da Jacob in momenti infelici della loro vita, e così viene offerta loro una seconda possibilità.

I flash-sideways di Los Angeles sono quindi esattamente questo: occasioni per fare scelte differenti: la realtà è sempre stata, e rimane, quella dell’isola; la redenzione non arriva per alcuni personaggi, almeno per il momento, e per motivi diversi: Ben, Ana Lucia, Michael: ancora non sono pronti per fare effettuare il “passaggio”, per uscire dal limbo in cui si risolvono le questioni in sospeso.

In questa seconda realtà i nostri vivono vite simili a quelle reali, per analogia o per contrappasso: Sawyer è un poliziotto, Jack è un buon padre; l’isola, inoltre, non permette di morire – e quindi fare un passo avanti, verso la Luce – se non si è portato a termine il proprio compito; vi ricordate quando Jack siede accanto a Richard, in attesa dell’esplosione della dinamite, che poi, puntualmente, non avviene?

Jack alla fine è pronto, ed è suo padre a spiegargli che per avere le risposte è necessario portare a termine il proprio compito, in una bellissima “reunion” di personaggi, al di fuori dello spazio e del tempo, in cui i concetti di vita e morte terreni perdono definitivamente consistenza; Jack sacrifica la sua vita, ed è questo che gli permette di portare a termine la sua “missione”, di trovare il suo scopo vero.

Ed è per questo che si spegne con il sorriso sulle labbra, nella consapevolezza che l’individualità di ciascuno brilla nell’Eternità in virtù delle scelte fatte, anche se si tratta di scelte di “seconda mano”; e quale premio migliore di quello di ritrovarsi a condividere il passaggio nella Luce con tutti i suoi compagni di avventura, che così tanto hanno rappresentato, nel corso dell’intera storia, anche nel ruolo di archetipi fondamentali della personalità umana?